martedì, aprile 03, 2012

Morte di un grande egiziano

La notizia è giunta fino sui nostri media, che ormai hanno smesso di accendere i riflettori sui Paesi nel Nord Africa. Per loro sì, quella araba è stata proprio una "primavera", nel senso che l'interesse per quello che succede al di là del Mediterraneo è in fretta svanito. Ma la morte del papa Shenouda III, patriarca della Chiesa copta d'Egitto, non poteva passare inosservata. Andando in Egitto, ho trovato una comunità copta intimorita del futuro, ma anche forte nella propria identità e desiderosa di giocare un ruolo nell'Egitto di domani. Certo, la democrazia ha portato con sé molte incertezze, ma in realtà la "protezione" di cui i cristiani godevano sotto Mubarak era ambigua e illusoria: quando infatti il regime aveva bisogno di una valvola di sfogo per il malcontento popolare, utilizzava anche i copti come capro espiatorio. Non a caso, i responsabili del terribile attentato alla chiesa dei Due Santi di Alessandria in occasione del Natale copto del 2011 non sono mai stati presi, ma molti pensano si annidino in realtà tra le fila dello stesso Ministero dell'Interno. 
Un graffite su un muro del Cairo: il futuro dell'Egitto
Nel Parlamento egiziano appena eletto, i copti sono rappresentati solamente da 13 deputati su 498. Tale percentuale è fortemente inferiore al peso demografico dei copti: su 80 milioni di egiziani, a seconda delle stime i cristiani (per la stragrande maggioranza copti) sono infatti tra il 6 e il 20% della popolazione. Essi tuttavia non si identificano politicamente con un solo partito, e sebbene ciò sia in sé un fatto positivo per evitare un'eccessiva confessionalizzazione della politica egiziana, dall'altro ha disperso il voto copto impedendo l'elezione di un numero congruo di rappresentanti cristiani in Parlamento.
La crescita dei movimenti islamisti non è di per sé un segnale inquietante per i cristiani, ma certamente è un dato con cui confrontarsi. I più importanti dirigenti del Partito per la Libertà e la Giustizia, espressione dei Fratelli Musulmani e in controllo del 45% dei seggi in Parlamento, hanno voluto partecipare pubblicamente alle celebrazioni del Natale copto lo scorso gennaio, dando un segnale molto importante e senza precedenti nella storia. 
Maggiori timori sono invece legati all'ala più radicale e conservatrice del campo islamista egiziano, quella rappresentata dai partiti salafiti (letteralisti e rigoristi nella loro interpretazione dell'Islam, fortemente sostenuti da alcuni "poteri forti" nei Paesi del Golfo) che non sembrano aver accettato pienamente l'idea del pluralismo religioso.
In generale, ho potuto constatare da parte degli islamisti egiziani l'attitudine a considerare quella dei copti come una questione di "protezione delle minoranze", ricollegandosi all'antica tradizione di tutela dei diritti dei "popoli del libro" presente nell'Islam fin dalla sua nascita e istituzionalizzata sotto l'Impero Ottomano attraverso l'istituto della dhimma. I dhimmi, ossia i sudditi dell'Impero non-musulmani (inizialmente solo ebrei e cristiani, poi tutti) godevano della protezione da parte delle autorità in cambio del pagamento di una tassa. Erano esentati dalle tasse di natura religiosa imposte ai musulmani e potevano regolare le questioni relative allo statuto personale (matrimoni, eredità, etc.) attraverso le proprie leggi.
E' chiaro che se questo tipo di regime poteva essere adatto ai tempi cinquecento anni fa - quando anzi, era particolarmente innovativo e liberale - oggi non può regolare la vita di uno stato democratico pluralista. Molti copti mi hanno detto: "Perché gli islamisti dicono continuamente che vogliono 'proteggerci'? Da chi devono proteggerci, forse dai loro stessi seguaci? Non siamo forse cittadini come gli altri?". Cittadini, questa è la parola chiave. La vera rivoluzione sarà quando in Egitto, Siria, Libano e tanti altri Paesi si riconosceranno agli individui uguali diritti fondamentali in nome di una pari cittadinanza che non prenda in considerazione l'appartenenza religiosa, ma la pari dignità di ogni essere umano e dei membri di una stessa comunità nazionale.
Da questi brevi tratti che ho cercato di riassumere, si comprende bene come la perdita di una figura di riferimento quale era papa Shenouda sia in questo momento fonte di ulteriori incertezze e apprensioni tra  cristiani copti d'Egitto. Attendiamo un successore all'altezza dei tempi, e nel frattempo cerchiamo almeno di non girarci dall'altra parte di fronte alla storia che scorre davanti ai nostri occhi, al di là del mare.
Qui di seguito, un bell'articolo di Marco Impagliazzo su Avvenire, in cui è tratteggiata la grande figura di Shenouda III.


IL CORAGGIO DEL TESTIMONE, di Marco Impagliazzo
 
La Chiesa copta d’Egitto, che con i suoi almeno otto milioni di fedeli è oggi la comunità cristiana più numerosa del mondo arabo, ha perso il suo capo, papa Shenouda III. Dal 1971, anno in cui venne eletto alla guida di questa Chiesa minoritaria e al tempo stesso vivace e complessa, è riuscito a rendere i copti protagonisti della vita religiosa, sociale e politica di un grande Paese come l’Egitto. Shenouda, il cui nome civile era Nazir Gayyed Raphael, proveniva da una famiglia della classe media rurale della regione di Assiut.
 Laureatosi in storia all’Università del Cairo e poi in teologia, fu, dall’inizio degli anni Cinquanta, un giovane esponente del movimento di rinnovamento copto, legato alle cosiddette «scuole della Domenica». Monaco nella regione desertica di Ouadi el Natrun, si dedicò per quasi dieci anni alla vita eremitica.
Papa Shenouda III
 Nel 1962 il patriarca Cirillo VI, che aveva iniziato un profondo rinnovamento della Chiesa a partire dai monasteri, lo consacrò vescovo con il nome di Shenouda. Nel 1971, quando divenne papa dei copti, espressione di una nuova generazione ecclesiastica, si presentò subito come un riformatore, scegliendo di confrontarsi direttamene con il potere politico, perché lottava contro l’emarginazione dei copti dalla vita pubblica e l’islamizzazione della società.
 Nel 1972, un anno dopo l’elezione, a seguito dell’incendio di una chiesa copta al Cairo, chiese a tutti i preti e ai vescovi residenti nella capitale di manifestare circondando il luogo di culto bruciato per proteggerlo simbolicamente. Fu solo il primo atto di protesta con l’obiettivo di uscire dagli stretti confini di una Chiesa devozionale e garantirsi uno spazio riconosciuto nella società egiziana.
 Shenouda, vero leader delle proteste insieme ai suoi vescovi, aprì anche un dibattito sullo «statuto dei copti» per rivendicare la parità tra musulmani e cristiani in Egitto.
 La protesta più clamorosa si registrò nel 1980, quando il capo dello Stato era Sadat, con la soppressione delle celebrazioni pasquali decisa dal patriarca. Un anno dopo il presidente, in seguito a sanguinosi scontri tra musulmani e copti, fece arrestare i principali leader fondamentalisti islamici e sciolse le loro associazioni, ma contemporaneamente fece incarcerare otto vescovi copti e depose il patriarca. Shenouda fu assegnato a residenza sorvegliata in un monastero fino al 1985. In questi quattro anni, la Chiesa fu retta da una commissione di cinque vescovi, anche perché non tutta la comunità copta condivise la prova di forza di Shenouda con il potere. L’opposizione venne da grandi famiglie copte come i Ghali, il cui leader, Boutros, collaborò con Sadat e fu uno degli artefici degli accordi di Camp David nonché, successivamente, segretario generale dell’Onu. Ma anche da Matta El Meskin, figura carismatica del rinnovamento monastico. Dopo l’attentato a Sadat nell’ottobre 1981 e l’avvento di Mubarak, venne avviata una politica di pacificazione nazionale di cui beneficiarono anche le minoranze. Uno degli effetti fu la liberazione dello stesso Shenouda.
Il patriarca, uscito rafforzato dalla prigionia, diede slancio alla classe dirigente della sua Chiesa nominando giovani vescovi, interpreti della sua linea. Da allora fino a oggi è stato il leader indiscusso dei copti, trattando con lo Stato senza mediazioni, accentuando gli aspetti «movimentisti» della sua Chiesa e favorendo la coesione della comunità cristiana, attraverso la stampa e i mass media.
 Shenouda lascia una Chiesa con un forte senso di identità ed elevato livello di partecipazione, specie tra le giovani generazioni. I migliori rapporti con lo Stato si sono tradotti in un sostegno costante alle autorità via via costituitesi in Egitto dopo la caduta di Mubarak, soprattutto nel tentativo di arginare il fondamentalismo. Ora la comunità copta si trova senza guida in un momento molto complesso della storia politica e civile dell’Egitto, stretta tra un riformismo ancora da venire e un islamismo sempre più forte (quasi il 70% dei voti alle recenti elezioni legislative) con cui fare i conti.

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