venerdì, febbraio 03, 2012

Hanno fatto arrabbiare quelli sbagliati.

IL CAIRO. "Questa volta hanno fatto arrabbiare quelli sbagliati". A parlare è Ios, origini egiziane e cittadinanza italiana, venuto a vivere al Cairo con la sua ragazza perché...è più facile trovare lavoro qui che in Italia.
Sta parlando degli scontri in atto al Cairo, a Suez e Port Said da ieri sera. Nella capitale si contano già tre morti, due manifestanti e un militare. C'è chi teme una ripetizione di quello che è successo alla fine di novembre, quando più di quaranta manifestanti vennero uccisi dalle forze di sicurezza.
Questa volta però non sono i giovani di piazza Tahrir a protestare, o meglio, non solo.
Si sono aggiunti, in massa, gli ultras delle tifoserie delle squadre del Cairo. Non i giovani studenti che lottano per un Egitto nuovo e che rivendicano la paternità di una rivoluzione che, sentono, gli è stata confiscata dai militari e dai Fratelli Musulmani (anche se questi ultimi lo hanno fatto democraticamente, ma su questo ci torneremo un'altra volta).
No, i ragazzi in strada adesso sono i giovani arrabbiati e violenti delle tifoserie organizzate. Qui sono un fenomeno recente, perché sono state legalizzate solo nel 2007 e in un certo senso dipendono dal governo, ma ci hanno messo poco ad assimilare i codici di comportamento degli "ultras".
Il loro obiettivo è il ministero dell'Interno, vicino a Piazza Tahrir. Sono passato da quelle parti pochi giorni fa, quando era tutto tranquillo, e tutte le strade adiacenti erano state chiuse da spirali di filo spinato alte due metri e da muri di blocchi di cemento altrettanto grandi, impilati fino a quattro metri. Ricordo che passando, ho pensato "questi non li butteranno giù mai". Invece li hanno buttati giù, legandovi delle funi e tirando. La forza della folla.
Certo si potrebbe commentare: ci mancava pure la violenza delle tifoserie.
In realtà, molti sono convinti che ci sia una regia politica ben precisa dietro a tutto ciò. La polizia è accusata di non essere intervenuta allo stadio di Port Said, dove si è assistito ad una vera e propria mattanza da parte dei tifosi dell'al-Masri (una squadretta di provincia), che si sono avventati contro quelli dell'al-Ahli (un po' il Milan egiziano) per "festeggiare" una insperata vittoria per 3 a 1. Totale: 72 vittime.
Secondo molti il governo militare, che sta cercando in ogni modo di pilotare questa transizione verso un punto di arrivo che garantisca comunque i privilegi di cui godono gli ufficiali (tra cui fortissimi interessi economici), starebbe fomentando la violenza e le tensioni per mostrare alla popolazione che è ancora necessario il proprio "pugno duro" perché il Paese non sfugga di mano. Le leggi di emergenza, che permettono all'esercito di intervenire in manifestazioni pubbliche non autorizzate a suon di cariche e arresti, sono in vigore in Egitto dal 1967, in occasione della guerra dei sei giorni contro Israele. Il feldmaresciallo Hussein Tantawi, capo del Consiglio Supremo delle Forze Armate che attualmente governa il Paese, in occasione dell'anniversario della rivoluzione aveva promesso di sospendere l'applicazione dello Stato di emergenza. Con un'eccezione, aveva detto il maresciallo: gli atti di "vandalismo" saranno puniti senza pietà.


 Tutto questo si svolge in un clima surreale, perché gli scontri sono concentrati nell'area intorno al ministero degli Interni. Stiamo parlando di 3-4 isolati in una zona molto centrale. Nel resto della città, tutto procede come sempre, anche se ogni negozio ha la televisione sintonizzata sul canale che trasmette la diretta dagli scontri.  (Un negoziante, credendomi un turista, per non spaventarmi ha provato a convincermi che erano immagini di repertorio...). Come si vede dalle foto che ho scattato oggi, il traffico era molto intenso come sempre, il mercato brulicava di persone e le moschee erano affollate come ogni venerdì. Unica differenza: di turisti, nemmeno l'ombra. Ma questo, lo dicono tutti, ormai va avanti da un po', ed è uno degli "effetti collaterali" della rivoluzione che più incidono sulla vita quotidiana della gente.