venerdì, gennaio 18, 2013

Mali: una guerra africana? Tutt'altro.



Fino a pochi giorni fa nessuno sapeva nemmeno dove fosse il Mali. Una delle città-chiave dell’attuale campagna militare francese, Timbuktu, era sinonimo di terra di nessuno. Oggi, di fronte ad una guerra che ci coinvolge direttamente, ci scopriamo disorientati come spesso accade di fronte ai conflitti africani, cui si danno tante etichette – guerre tribali, etniche, del petrolio – ma poche spiegazioni.
In realtà, ciò che sta accadendo ha radici profonde. Da molti anni gli emuli di al-Qaeda avevano preso possesso di quella “terra di nessuno” che è la Somalia. Eppure in pochi si preoccupavano che ciò si stesse replicando anche in quel grande mare di sabbia che è il Sahara. Forse alcuni pensavano che fosse il posto giusto dove confinare i terroristi. In realtà, come avviene da secoli, il Sahara è la porta del Mediterraneo. Di qui transita chi sogna l’Europa, arricchendo mercanti di uomini senza scrupoli. Di qui passa buona parte della droga che, dal Sudamerica, giunge in Europa dopo aver viaggiato su piccoli aerei dal Sudamerica ed essere atterrata sulle coste dell’Africa occidentale.
Il Mali. In rosso l'area controllata dai ribelli.
Storicamente, il Sahara è la terra dei Tuareg, gli “uomini blu”, nomadi fieri della propria indipendenza culturale ma emarginati negli assetti del potere e nella distribuzione delle risorse. Per ottenere pari diritti e autonomia, i Tuareg hanno combattuto una lunga guerra contro il governo del Mali. Beffati dai tanti accordi firmati e rimasti sulla carta, hanno approfittato del saccheggio degli arsenali libici per dare il via, nel marzo del 2012, ad un’offensiva che ha portato alla proclamazione di uno Stato tuareg indipendente, l’Azawad, nel nord del Mali.
La nascita dell’Azawad – che, detto per inciso, non è stato riconosciuto da nessuno è non è uno Stato a tutti gli effetti – ha segnato il crollo della democrazia in Mali, un’esperienza che, pur con molti limiti, era durata vent’anni. I militari sono intervenuti deponendo il Presidente e assumendo il potere, dovendo però presto instaurare un nuovo governo civile a causa delle pressioni internazionali. Essi sono però rimasti dietro le quinte i veri detentori del potere, come ha dimostrato la nuova deposizione, a dicembre, del Presidente che loro stessi avevano nominato, e la sua sostituzione con un candidato più docile. 
E' nel corso della campagna militare per la conquista dell’Azawad che si è realizzata la saldatura tra Tuareg ed islamisti. Questi ultimi, meglio equipaggiati e finanziati – grazie soprattutto all’”industria” dei rapimenti ed al contrabbando – hanno però rotto l’alleanza per assumere il controllo diretto della regione e governare le città in base alla sharia.
La diffusione dell’islamismo radicale nel Sahara va ricercata in Algeria. Furono infatti alcuni membri del Gruppo Islamico Armato (GIA) algerino, che negli anni ’90 combatté – e perse – una cruentissima guerra civile, a fondare il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento, poi rinominato al-Qaeda nel Magheb Islamico (AQMI) assumendo il franchising del terrore dal movimento di Osama bin Laden. Tra di essi spicca Mokhtar Belmokhtar, alias “Mokhtar il guercio”, veterano dell’Afghanistan (quando la jihad era contro i sovietici), della guerra algerina e ora leader dell’organizzazione. Ma AQMI non è l’unica formazione islamista presente sullo scenario. È la più attiva in Algeria, mentre in Mali la fanno da padroni Ansar Dine, guidata da un ex-leader della ribellione Tuareg, Iyad Ghali, e il Movimento per l’Unicità e la Jihad nell’Africa Occidentale (MUJAO), nato da una scissione all’interno di AQMI proprio a causa della predominanza degli algerini nella leadership del movimento.
I raid francesi hanno preso di mira soprattutto le postazioni del MUJAO, mentre Ansar Dine, che da novembre aveva avviato colloqui di pace con il governo di Bamako, ne ha dichiarato la sospensione per prepararsi ad una campagna di difesa.
La presa di ostaggi in un impianto di gas nel sud-est segna l’entrata in gioco di AQMI, che fin’ora era stata a guardare. È un chiaro tentativo di estendere il fronte di combattimento e provocare i francesi su un terreno che, per ragioni storiche, è particolarmente delicato per Parigi. Il tragico esito del blitz fa aumentare esponenzialmente il costo politico di una guerra che fino ad ora Hollande è riuscito a spacciare come “giusta”.
Quella a cui stiamo assistendo è quindi una guerra che ha origini locali – le rivendicazioni dei Tuareg, l’irrisolta questione algerina – ma che è stata ormai assorbita nelle logiche della “guerra al terrore”. Questo renderà molto più difficile una sua vera soluzione. Si poteva intervenire con la diplomazia prima che il conflitto si internazionalizzasse? Certo. Ma un intervento militare, reso inevitabile, è più conveniente per tutti. Da un lato permette ai militanti islamisti di invocare la jihad contro l’Occidente. Dall’altro consente alla Francia di dare nuovo slancio e legittimità alla propria politica africana, dopo il discusso intervento in Costa d’Avorio dell’anno scorso, e forse è solo l'inizio di un disegno più ambizioso, come sostiene Gian Paolo Calchi Novati. Se a ciò si aggiunge la necessità degli apparati militari americani ed europei di reimpiegare uomini e tecnologie in via di smobilitazione in Afghanistan, si capisce come a pochi interessi, veramente, il Mali.

1 commento:

nicola giordanella ha detto...

L'intervento così tempestivo della Francia, consentito dalle sue numerose basi militari nell'area, però non può essere giustificato solamente in base al principio dell'eredità storica coloniale... è evidente come le primavere arabe, nelle loro diverse manifestazioni, creando nuovi spazi di intervento, abbiano rilanciato la corsa neo-coloniale delle potenze occidentali... insomma, la solita storia...