domenica, dicembre 30, 2012

Monti Nuba: "Se non sono le bombe, sarà la fame ad ucciderci".

Tutti sappiamo che esistono guerre più o meno dimenticate, e tutti in fondo accettiamo questo dato con passiva rassegnazione.
Forse non potremo fare molto per cancellare la parola "guerre", anche se non ne sono così sicuro. Quello che è certo è che ognuno di noi può cancellare la parola "dimenticate", semplicemente ricordandole.
Tra queste situazioni quella che personalmente mi tocca di più è quella dei monti Nuba, o Sud Kordofan, una regione del Sudan dove dal giugno 2011 è in corso una guerra civile in cui la distinzione tra civili e combattenti è inesistente. Visto il mio legame con il Sudan, quasi quotidianamente ricevo aggiornamenti sulla situazione in Sud Kordofan. Bombardamenti indiscriminati, villaggi interi costretti alla fame, migliaia di persone che cercano di fuggire nel vicino Sud Sudan, chiese e moschee bruciate. Tutto senza che una sola parola esca sui grandi media nazionali e internazionali. Il governo di Khartoum bombarda una parte della propria popolazione che ritiene gli sia nemica, esattamente come aveva minacciato di fare Gheddafi con la gente di Bengasi. Non sto invocando un intervento militare in Sud Kordofan, basterebbe una seria iniziativa per creare almeno dei corridoi umanitari attraverso cui l'assistenza di base possa raggiungere la popolazione civile.Vi chiedo di prendervi cinque minuti, e guardare questo breve filmato che mostra, senza indugiare su tratti crudi o retorici, le disperate condizioni in cui è costretta a vivere questa gente.
Per chi si chiedesse: perche? La situazione è complessa da spiegare. I Nuba sono una popolazione autoctona, storicamente emarginata dai governi che si sono succeduti al potere a Khartoum. Custodi gelosi della propria identità culturale e del loro patrimonio linguistico, sono entrati in conflitto con i nomadi arabi che si sono insediati nelle zone pianeggianti, trovandosi costretti a rifugiarsi sulle montagne e le colline a sud. Tenete sempre presente che interpretare ciò che succede in Sudan come un conflitto tra arabi e africani è sempre molto semplificatorio: giusto per fare un esempio, le donne nuba che sentite parlare nel video parlano arabo. I problemi sono ben più complessi che un conflitto identitario: sono in gioco terre, risorse scarse, diritto all'autonomia politica, sfruttamento delle risorse da parte del governo centrale e molti altri fattori.
Il problema sorge quando i Nuba aderiscono al SPLM/A, il movimento di guerriglia fondato in Sud Sudan nel 1983 da John Garang. Il SPLM/A, grazie anche al fondamentale apporto di popolazioni del Nord come i Nuba, riuscì a non farsi mai etichettare come guerriglia sudista secessionista: Garang rifiutò sempre di limitarsi a rivendicare maggiori diritti per il Sud, dichiarando che il SPLM/A lottava per un "nuovo Sudan", democratico, plurale e laico, dove tutte le diverse identità che componevano il Paese avrebbero trovato posto.
Come potete vedere dalla cartina, il Sud Kordofan si trova proprio al di sopra del confine tra Nord e Sud Sudan. I Nuba, trovandosi sulla linea del fronte, furono tra le popolazioni più colpite dalla distruzione della guerra.
Ciò non è bastato a dare forza alle loro rivendicazioni. Il "nuovo Sudan" si è però rivelato, nella realtà, una chimera, e alla fine il SPLM/A ha accettato di ripiegare sull'obiettivo, più realisticamente conseguibile, dell'indipendenza per il Sud Sudan, che è giunta nel luglio 2011. A questo punto però i nordisti che avevano combattuto per il SPLM/A si sono trovati dalla parte sbagliata del confine: traditi dai loro compagni di lotta (il SPLM/A) e accusati da Khartoum di avere parteggiato per il nemico. Gli accordi di pace firmati nel 2005 tra il Governo e il SPLM/A prevedevano che in Sud Kordofan e nel Nilo Blu - un'altra regione dove il SPLM/A aveva raccolto numerosi adepti - si svolgessero delle "consultazioni popolari" di valore meramente consultivo che però avrebbero potuto riaprire il dibattito sul destino di queste due regioni, lasciando aperta la prospettiva di una qualche forma di autonomia politica.
Nel Nilo Blu la consultazione si è tenuta, in Sud Kordofa no, ma l'esito è stato praticamente lo stesso: Khartoum ha riaffermato il proprio pugno di ferro su entrambe le regioni senza troppi tentennamenti. La miccia che ha dato le fiamme all'incendio è stato il problema del disarmo dei combattenti del SPLM/A. L'esercito sudanese ha infatti ordinato ai combattenti nordisti del SPLM/A di disarmare, ma questi si sono rifiutati motivando il rifuto con la necessità di proteggere le proprie comunità (in particolare i Nuba). Più o meno nello stesso periodo, si stavano tenendo le elezioni per i governatori regionali: nel Nilo Blu ha vinto un esponente del SPLM/A, ribattezzatosi SPLM-N (dove la "N" sta per "Nord"), nel Sud Kordofan ha vinto il candidato del Governo in condizioni tutt'altro che trasparenti. Notate bene che il personaggio in quesitone è Ahmed Haroun, indagato dalla Corte Penale Internazionale per i crimini commessi in Darfur. Era infatti Ministro per gli Affari Umanitari a Khartoum proprio nel momento di massimo picco della crisi in Darfur. In questa miscela esplosiva, al primo tentativo di disarmo forzoso dei combattenti del SPLM/A da parte dell'esercito si è avuta un'escalation militare.
La popolazione civile è stata da subito presa di mira dall'esercito perché, come si può ben capire da questa breve spiegazione, buona parte dei Nuba e alcune popolazioni del Nilo Azzurro parteggiano apertamente per il SPLM/A.
Nel filmato sentirete che si parla di "Antonov". Sono aerei militari russi, solitamente utilizzati per trasportare truppe o rifornimenti, che invece in Sudan vengono utilizzati lanciando le bombe direttamente giù dal portellone. E' un metodo tristemente famoso perché è emblematico della volontà del Governo di colpire tutti, in quanto bombardare con gli Antonov non garantisce nessuna precisione sul bersaglio da colpire.
Si potrebbero dire molte altre cose, ma capisco che già ce ne sia troppo per i lettori di un blog. Spero però che vorrete condividere questo articolo su Facebook, Twitter, mandarlo via email. E' uno dei modi che abbiamo per far sì che questa guerra sia un po' meno "dimenticata".

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